Respiranza

– “Perché affezionarsi dottore, tanto prima o poi tutti se ne vanno.”, dice Tizio.
– “Perché allora non restare chiusi in casa, che fuori c’è senz’altro più possibilità di buscarsi un malanno?”, rispondo io.

A parte amichevoli constatazioni come questa, che non c’entrerebbero il bersaglio, possiamo constatare che il paziente che si dichiara con questo proposito, sta raccontando che ogni volta che ha perduto un oggetto d’amore non ha incontrato il dolore sano, certificato di valore dell’oggetto perduto, quanto piuttosto l’angoscia. Così non ha mica tutti i torti, tutto sommato, a immaginare una difesa che somiglia un po’ a questa: “Se nei cibi c’è qualcosa che mi fa male, smetto di mangiare.”.
Il dolore sano invece è dolore, ma è sano appunto!, pertanto è opportuno impiegarlo ogni qual volta se ne presenti la necessità. A tal proposito val la pena scomodare proprio nonno Freud quando nel suo saggio “Lutto e Melanconia”, un testo del 1917, – cito soltanto una frase – dice:
E’ peraltro assai rimarchevole il fatto che nonostante il lutto implichi gravi scostamenti, rispetto al modo normale di atteggiarsi di fronte alla vita, non si pensa di considerarlo uno stato patologico e di affidare il soggetto, che ne è afflitto, al trattamento del medico.”
Parola di Freud.
L’angoscia va affidata alle cure, quella sì, sta bene, non il lutto.

– “Ma Dottore io non voglio che la psicoterapia mi faccia riguadagnare la speranza!, (perché – aggiungo io – mi espone alle delusioni)”.
E così mi capita alle volte di rispondere:
-“Stia a sentire, se lei non vuole che io lavori per le sue speranze, mi da il permesso di lavorare per i suoi desideri, i suoi appetiti?” 
Perché poi i desideri sono un altro nome dato alla speranza. Oppure, accetto comunque la sfida, ma faccio notare al paziente una cosa:
– “Caro Sig. Bianchi sa perché sono perplesso sull’accettare questa sua pretesa da me? Lei ha detto che spesso le manca il respiro, le manca il fiato? Bene, allora facciamo così, lavoreremo insieme perché lei possa imparare a respirare a pieni polmoni. Guardi che la speranza si chiama anche “respiranza”.  (…Tiè!!)
Perché la sua strategia è come se mi dicesse: “Senta, lei mi deve togliere l’appetito così posso attraversare il deserto; se mi aiuta a togliere la fame, togliere la sete, non avrò più bisogno di niente e di nessuno, in questo modo potrò anche trovarmi in una condizione dove non c’è cibo, non c’è acqua e sarò in grado di resistere lo stesso”.
Non è possibile.
– “No, lei caro Sig. Bianchi sta dicendo che conta di evitare le delusioni, liberandosi dalle illusioni. Ma non è detto che le speranze siano illusioni.
Ci sono sicuramente delle speranze per loro natura illusorie; per esempio la parola “desiderio” che vuol dire “avvertire la mancanza delle stelle”, eh, certo che è un’illusione, le stelle non le possiamo mica tirar giù dal cielo allungando una mano. Loro stan bene dove sono.
Così lei mi sta forse dicendo che tutte le volte, poche o tante che siano, in cui ha avuto l’occasione di perdere una persona cara o una situazione cara – anche un posto di lavoro è bene saperlo da luogo al lutto – ne ha avuto una sofferenza terribile e non c’era nessuno che se ne accorgesse, nessuno che l’aiutasse a renderla sopportabile. Perché il dolore sano sa, è importante, poichè non è possibile evitare i dolori della vita.
Il dolore si presta alla condivisione e si chiama proprio “condoglianza” quando facciamo riferimento alla partecipazione al dolore di una persona per un lutto che l’ha colpita, e la vicinanza di persone amiche, cari che ci consolano, ci fa bene, ci rende tollerabile questo dolore.
Le persone depresse si voltano dall’altra parte, non vogliono nessuna consolazione. Perciò lei mi sta dicendo che è stato troppe volte lasciato solo di fronte al dolore delle sue speranze perdute, perdute nell’oggetto. Ma la speranza è il nostro stato d’animo che è rivolto a un oggetto, che può essere una persona, un luogo, un obiettivo della vita, ecc. . L’inconveniente che le è capitato è che quando ha perduto l’oggetto, insomma quando ha perso il cibo, ha creduto conveniente di perdere anche l’appetito. Ma la speranza è un appetito.
Certo, quando si perde un oggetto delle nostre speranze c’è un dolore da attraversare, il cosiddetto lutto. Lutto è parola che viene dal latino luctus dal verbo lugere che vuol dire piangere. Per dire che c’è da piangere, ma nessuno è mai morto per un lutto, mentre si può morire per disperazione.
Quindi lavoriamo insieme affinché lei impari a piangere e possibilmente accettando la consolazione di chi le vuol bene. Certo è una ferita, è vero, e le ferite sanguinano, ma non è scritto da nessuna parte che tutte le ferite siano immediatamente mortali. Anche quel taglietto sulla punta dell’indice che potrebbe aver spaventato quel bambino la prima volta che vide il proprio sangue: “Guarda mamma!!!” Ma una mamma che non si spaventa dice: “Guarda, ti farà un po’ di bruciore, ma succede mica niente sai: adesso ci mettiamo un cerotto e vedrai che starai meglio.”

Ora, ho in mente un bambino che era così orgoglioso delle sue ferite che chiedeva d’aver un cerotto anche sul braccio sano. Quel bambino è diventato dottore.

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