L’imprevisto che mette paura

– “Perché può essere sentito come angosciante l’imprevisto? Esso ha due facce: quando positivo procura una sorpresa che è fonte di meraviglia e di felicità; quando negativo invece è inquietante, poiché è quello che si dice la brutta sorpresa che ci trova impreparati. Dal punto di vista clinico, naturalmente nel mio mestiere è importante imparare e insegnare a misurare il peso specifico dell’imprevisto.
Nevroticamente, un ossessivo sul depresso può considerare una tragedia prendere un sette anziché l’otto e mezzo in matematica, per esempio. Perciò sono obbligato a entrare nel merito, ossia negli esempi, nella narrazione che mi fa il paziente, perché il terremoto, preso per nulla a caso, è imprevedibile, non c’è niente da fare. Proprio in riferimento a questo, c’è stata una sentenza in un primo grado di condanna per i tecnici/periti dell’Aquila che non avevano dato l’allarme. È una balla! Poi dopo in appello ovviamente la prima sentenza è stata annullata. Perché? Ora come ora i terremoti non sono prevedibili ed effettivamente sono psicotizzanti. Si potrebbe tranquillamente dire che il terremoto è schizofrenico, poichè va contro natura (la madre terra che ammazza i suoi figli, non ci sta nella mente). Tant’è che poi, quando la terra finalmente – magari mesi dopo – smette di tremare, un certo numero di persone continueranno invece a farlo, fino anche ad allucinare il terremoto, perdendo, come dire, la misura delle cose. Ed è così che un tremolio del vetro della finestra al passare dell’autobus, viene patito e soprassaltato come se fosse una scossa catastrofica.
Questo riguarda poi ogni singola persona, dal momento che l’addestramento all’imprevisto (in questo caso all’imprevisto negativo) lo impariamo nella culla.
Per il lattante, che chiude gli occhi beatamente addormentato dopo l’ultima poppata, la mamma è sempre lì. Tuttavia può capitare che si svegli e non trovi nessuno accanto a lui, e allora si mette a strillare, ma veramente come un’aquila – la natura ha dato ai neonati un potere di voce straordinario – e non è che abbia freddo o fame, anche può essere, ma sopra ogni cosa c’è il fatto che “non siamo d’accordo così, la mamma doveva essere qui!”
Per quale altro motivo altrimenti quando addormentiamo un bambino già più grandicello, ehh..gli cantiamo la ninna nanna, gli raccontiamo una favola ma lui a un certo punto esclama:
– Mamma?! Papà?!”
E noi rispondiamo: – Sì, sono qui, tranquillo.”
Dopodiché, non appena cogliamo che il respiro si è fatto regolare, gli occhi sono chiusi, ecc., in punta di piedi, piano piano senza farci sentire, ce ne andiamo e spegniamo la luce. Solo che purtroppo una tossetta del cavolo lo sveglia, apre gli occhi, è tutto buio e non c’è nessuno: siam mica d’accordo così!!? Altro strillo, altro imprevisto.
Col tempo, quando la figura genitoriale viene “internalizzata”, ossia quando il papà e la mamma sono con me anche quando sono altrove, mi posso anche svegliare di notte senza provare più terrore.
Se ci facciamo caso, il bambino piccolo e fino a una certa età, quando si addormenta i genitori sono ancora svegli, ugualmente quando si sveglia, li trova già svegli, per cui dal suo punto di vista i grandi sono quelli che non dormono mai. Per questo poi i bambini quando c’è festa in casa, ci sono amici e parenti a cena, fatta una certa ora crollano dal sonno, ma negano l’evidenza.
– “Ma dai Pierino, su che ti si chiudono gli occhi da in piedi!!
E Pierino per contro risponde: – “Chi io???! Non ho sonno io!”
Non si reggono in piedi, ma si vergognano della loro sonnolenza perché “Sono grande io!!”, invece non è così, ecc.
Il tema dell’imprevisto pertanto, prima ancora del contenuto (una bella o brutta notizia imprevista appunto) ha qualcosa a che fare con l’onniscienza. I grandi, per tutti i bambini solitamente sono quelli che prevedono tutto, sanno tutto… proprio come Dio.
Perché il Padre Eterno, così come è stato inventato, pensato, è fuori dal tempo? Perché per Lui un istante e un’eternità sono la stessa cosa? Eh… Dio non ha imprevisti, come può averceli??
Per concludere, la domanda da cui sono partito è buona naturalmente, ma ha una risposta personale per ognuno dei miei pazienti, e più in generale per ciascuna delle storie umane.
Perché ci angosciamo per l’imprevedibile allora? Perché ci mostra che non siamo onniscienti, eh sì, costa quel po’ di onnipotenza cui siamo costretti rinunciare.

Sonno e morte

Nell’inconscio sonno e morte sono spesso parenti. Ce lo illustra William Shakespeare nell’Amleto per come lo ricordo: “Essere, o non essere, questo è il dilemma.. Morire, dormire, forse sognare…Ecco un dubbio che mette spavento. Perché quali sogni mai abiteranno le notti di questo infelice, ecc…”
I poeti sapete, hanno già pensato tutto, detto tutto, ma l’han detto in una forma che qualche volta sfugge al determinismo che vorremmo della scienza. Dunque, possiamo in un certo senso dire che la scienza è diurna, mentre la poesia viceversa è notturna.
È così bello e colmo di verità quel famoso e citatissimo soliloquio del principe Amleto nella tragedia shakespeariana, che credo lo incollerò qui di seguito; alla memoria delle opere preziose quanto eterne.

« Essere, o non essere, questo è il dilemma:
se sia più nobile nella mente soffrire
i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna
o prendere le armi contro un mare di affanni
e, contrastandoli, porre loro fine? Morire, dormire…
nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo,
perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale
deve farci riflettere. È questo lo scrupolo
che dà alla sventura una vita così lunga.
Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo,
il torto dell’oppressore, la contumelia dell’uomo superbo,
gli spasimi dell’amore disprezzato, il ritardo della legge,
l’insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo
che il merito paziente riceve dagli indegni,
quando egli stesso potrebbe darsi quietanza
con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli,
grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa,
se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte,
il paese inesplorato dalla cui frontiera
nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà
e ci fa sopportare i mali che abbiamo
piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti?
Così la coscienza ci rende tutti codardi,
e così il colore naturale della risolutezza
è reso malsano dalla pallida cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e momento
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione. »

(Amleto, atto terzo, scena prima)

“Lite pacata?? Cosa vuol dire?!”

In questo momento sono ironico sulla ingenuità delle persone che pensano d’essere furbe, e non sanno che neanche il Padre Eterno in persona ha il potere di restituirci un’ora di malumore che ci è rubata da un conflitto astratto, assurdo, lunare insomma…e che però mette appunto di malumore.
Tali situazioni, che spesse volte purtoppo giungono all’esasperazione, ci pongono indirettamente un obiettivo ambizioso ma non impossibile, ossia quello d’imparare a litigare bene, vuoi con la mamma, vuoi con la ex moglie/marito, con il capo, o con chicchessia. Facile enunciarne il principio, più difficile è praticarlo.
Il principio qual è? Sentire intanto, e far sentire, d’avercela con lo sbaglio, e non con chi lo commette, non con la sua persona. Insomma dire: “Ce l’ho con i tuoi sbagli!”.
Certo, che se poi l’errante continua a difendere lo sbaglio, dopo che noi gli abbiamo detto “Spostati un po’ ché devo lanciare una freccia sul tuo errore (e non sul tuo petto)”, sia esso la mamma, la ex moglie/marito, ecc., a quel punto sarebbe lui a mettersi sulla traiettoria dei nostri strali. Ciò nonostante, il saperlo rende meno colpevoli e più responsabili dei propri gesti, delle proprie parole e di conseguenza, più pacata la lite.
Oh bella!! sembra ci troviamo di fronte a un paradosso, perché parlare di lite pacata è un controsenso… eh sì, ma anche no.
La lite pacata è nel gioco, è nelle gare, dalla briscola fino al calcio. Trattasi certo di lite, in quanto uno vuol vincere, e l’altro anche non si rassegna a perdere. In ogni modo, quando le cose vanno al meglio, ossia quando le regole del gioco sono rigorosamente rispettate, allora io posso garantire che il calcio lo do al pallone e non allo stinco del mio avversario.
È il gioco che salva la civiltà! più precisamente, la capacità di recuperare la giocosità (che non ha alcuna parentela con la derisione), ovunque e quanto più possibile.
Il gioco è una cosa molto seria sapete? e, per fare un esempio abbastanza comune, anche all’interno di una ex coppia coniugale che si sta avviando a essere esclusivamente – ma non è cosa da poco – coppia genitoriale.