Presa di coscienza

Qual è un finale possibile per quella persona a cui è mancata la “certificazione di qualità”?
Si chiama PRESA DI COSCIENZA. Significa sottrarre attenzione, energie, passioni, a un compito impossibile che ci mangia energie appunto, ma non ci può mantenere quello che ci promette.
La presa di coscienza propizia la sospensione, l’interruzione della COAZIONE A RIPETERE. Dai e dai, ripeti oggi, ripeti domani, se non trovi mai quello che appassionatamente e oscuramente cerchi prima o poi dovrai pure domandarti il perché. E se lo trovi questo perché, e capisci che si trova là e allora mentre tu appassionatamente hai cercato che fosse invece qui e ora, srotolando in questo modo indietro la moviola del tempo, come se il passato fosse presente… purtroppo in questo modo è il presente a rimanere inchiodato sul passato e a vietare il futuro, o quantomeno a disturbarlo.
Se tu, amico/a mio/a, rinuncerai all’onnipotenza – che è solo del Padre eterno, che si sa essere fuori dal tempo, laddove un istante e l’eternità coincidono -, se accetterai il dolore pulito, limpido, cosciente dell’assenza patita della madre e del padre, tutto il dolore del mondo sì, ma non più l’angoscia che in quanto cattiva consigliera ti fa credere che a furia di dai e dai li puoi ritrovare ora. Se sarai capace di rinunciare all’onnipotenza accettando il limite dell’umano potere, smetterai di cercare l’Assoluto accettando che questo si trovi bensì nel giro dei desideri, ma non sulla terra del reale.
Nella realtà troverai persone, donna o uomo che sarà illuminata dal tuo desiderio ma non coinciderà con la madre o padre che ti mancarono là e allora. Non c’è rimedio per questo, il passato non è revocabile, non torna indietro. Se accetterai questo, sarai capace di felicità e di serenità. Felicità mai garantita s’intende. Non esiste costituzionalmente il diritto alla felicità, piuttosto il diritto alla ricerca  e se sei capace la troverai, qua e la, su o giù… mai come condizione costante, ma sempre come sorpresa, in qualche modo poetica.
Se sarai capace di questo, allora potrai dire come il pittore Cézanne: “immaginate di essere morti, freschi freschi di morte e porca miseria vi rimane qualche cosa che non avete fatto in tempo a chiudere. Chiedete al Padre eterno di poter tornare in vita ed Egli vi concede un’ora. Bene, in quell’ora una goccia di rugiada sopra un filo d’erba avrebbe il potere di commuovervi fino alle lacrime.” Così e solo così, con questo stato d’animo il pittore sintetizza insieme il sogno di eternità (perché l’opera d’arte è ferma e congela il tempo divenendo in tal modo praticamente immortale) contemporaneamente però al sentimento della umana comune universale moribilità.

Capisco possa essere difficile da intendere. Magari mi riuscirà meglio in altre occasioni di riprender l’argomento.

Il senso del definire..

Intendiamoci, ciò che merita di essere de-finito è il male, la malattia, la sofferenza, perché definire significa circoscriverla… per poterla aggredire. Ciò che non sopporta invece definizioni è la poesia, la felicità, la sanità stessa. Non è “normale” la sanità, è meravigliosa! E la meraviglia non sopporta definizioni.
Poi certo, i critici d’arte, letteratura, poesia, musica e pittura si sbracciano per definire, ma – a parer mio – perdono un po’ il loro tempo. Perché direi quasi che è nostro diritto, ad ogni rilettura di una pagina poetica, che ne so di Dante o Manzoni, ma anche di un film che ci è piaciuto, sorprenderci poiché essa ci rivela ogni volta un significato nuovo. Sempre spazio quindi alla Sorpresa.
Per questa ragione così come non andrebbe definita la bellezza, la felicità, la poesia, non va definita la persona. Il suo male va definito, o il suo delitto. La persona in quanto singolo, unico e irripetibile, ripeto, non sopporta definizioni. E quando accade, e succede ogni giorno, di usare definizioni dobbiamo sapere che rischiamo di far torto alla Verità più profonda.