Questo del fare psicoanalisi fu ed è un’invenzione mutativa del pensare e dire umani.
Ogni giorno sono sorpreso di questa sorta di prodigio che è la narrazione della sofferenza e la parola interpretante. La parola narrativa è la parola del paziente, la parola interpretante è quella dell’analista. Ogni volta mi sorprendo, e non sono stanco, ne come dire… “Bo’, si ma tanto son sempre le solite cose, che sorpresa vuoi che sia?!” E invece no, a ogni suono di campanello penso: ” Eh, sono proprio curioso di sapere cosa mi racconterà oggi tizio, caio o sempronio”.
Questa capacità di sorpresa da un lato ci vaccina contro l’arroganza dell’onniscienza (chi sa tutto, è destinato a non sorprendersi più di niente), dall’altro garantisce la curiosità e si fonda sul cogliere l’aspetto misterioso che è nel diritto di ogni singolo essere umano. Scandalo della materia vivente è l’uomo nel senso che ciascun uomo è simile a tutti, ma identico no. Ciascuno è identico solo a se stesso, il che significa che dell’individuo non si può dare scienza, si può dare conoscenza, esperienza sì ma non scienza. E la scienza si fonda sulla ripetitività dei fenomeni. Essa scopre delle leggi, in base alle quali fa delle previsioni e quando è scienza medica per esempio prevede anche delle regole di terapia ecc. Ma in quanto singolo irripetibile non è possibile una “Mariologia” o che ne so, una “Lauralogia”. E’ possibile linguisticamente la “Cristologia”, ma lui era Cristo, era Dio, quindi la teologia è parola che ha un senso. Non ci sarà una “Saralogia”, c’è l’amore o la preoccupazione o l’ansia. Perciò l’analista, il terapeuta ma per la verità anche il medico ha da camminare sempre su tutte e due le gambe. La gamba scientifica e la gamba clinica. Scientifica significa che la malattia va riconosciuta, i luoghi della sofferenza vanno indagati e sono sottoposti a scienza perché non c’è originalità nella nevrosi. Per dir così, visto un ossessivo – che si lava le mani dieci volte e non riesce a smettere perché non è sicuro di aver ultimato l’operazione – visti tutti. Ma visto il sig. Mario Rossi, il discorso cambia, occorre tenere un piede per la scienza ed un altro per la clinica, che è arte. La clinica significa inclinarsi, in un certo senso inchinarsi a questa quota di mistero di cui ognuno è titolare. E lo affermo in modo totalmente laico, con tutto il rispetto per i credenti.
Orizzonte: cammina, cammina, parla, parla…Tu vai avanti, conosci e dissodi anche del terreno camminando, ma l’orizzonte rimbalza davanti ai nostri occhi e ai nostri passi. Ed è una bella fortuna perché ci garantisce, come accennavo sopra, la curiosità che è una precondizione per il piacere della conoscenza. Anche quando accade che la seduta, e può capitare, si faccia pesante, dolorosa, la stanza piena d’angoscia, se siamo abitati da questa curiosità e capacità di mistero la fatica si alleggerisce e di molto.