La parola giusta è proprio questa, MALEDIZIONE, nel senso anche meno drammatico del termine, ossia “dico male di te, non hai la mia approvazione”.
Questo ha a che vedere col cambiamento, quando lo si ricerca o vi si è in qualche modo obbligati. Può essere un cambiamento di città, di relazione, d’ambiente, di lavoro, di abitudini, emigrazioni in senso ampio.
Pur essendo l’essere umano il solo animale mammifero che sia attrezzato per riuscire a campare dal Polo Nord all’Equatore andata e ritorno, – questo vale quanto all’ambiente geografico, insomma, dal gelo al solleone! -, non si può certo dire la stessa cosa quanto all’ambiente affettivo emotivo.
Quando i figli si allontanano da casa, e non solo per il matrimonio, che naturalmente è più particolarmente tipico, per dirigersi verso il mondo, verso la vita, il lavoro, un’altra città universitaria che non è quella dove sono nati e cresciuti, ecc., c’è bisogno della BENEDIZIONE. Potremmo attribuire alla benedizione una formula che è quella del saluto, quella del distacco: “Figlio mio vai, vai! Sei cresciuto, ormai sei grande a sufficienza, vai! E se voltandoti indietro vedi tua madre con una lacrimuccia negli occhi e tuo padre magari anche, che tira su di naso o starnazza, o tissicchia, non ti preoccupare, vai lo stesso; perché il dispiacere di vederti partire non riguarda te, riguarda il senso della vita, gli anni che passano, al fatto che non si torna indietro. Pertanto, guai a te se non vai vedendo la nostra commozione!”.
Quindi, una lacrima e un sorriso; abbiamo due occhi, uno sorride e l’altro porterà una lacrima, in compagnia con parole come queste: “Tu, figlio mio vai, sia benedetto il tuo andare. Poi, noi siamo qui, di retroguardia, come linea difensiva, semmai ti capitasse d’avere ancora bisogno, ma sopra ogni cosa sia benedetto il tuo andare.” si offrono lui i migliori auguri.
Eh, come si può ben capire, sto parlando di cose che per qualcuno sono purtroppo un sogno. La mancata benedizione rende molto complicato quel mettere le radici avventizie nella nuova storia, nella nuova relazione, nella nuova geografia compresa… il lavoro, la sede, la città. Per cui sì, coloro che non hanno avuto la fortuna di ricevere questa benedizione devono, diciamo, affrontare una fatica doppia, non avendo loro alle spalle la riserva che dice: “Figlio mio, bada bene, io al posto tuo non farei così, non farei quello che tu stai facendo; tuttavia occhio bello mio, al posto tuo ci sei solo tu. Io non posso prendere il tuo posto, ne tu uniformarti al mio. E così ancora una volta ti dico, VAI E SIA BENEDETTO IL TUO ANDARE! Se poi torni indietro, ci dispiacerà, ma per te la porta è sempre aperta, non devi neppure telefonare, basta che suoni il campanello”.
Sto descrivendo ciò che con ogni evidenza, in certi casi e per certe persone, non è accaduto, e non solo negli anni recenti o recentissimi. Tale stato di cose comporta indubbiamente uno sforzo in più di ragione, di sentimento e di affetti: “Perché non posso dimenticare che titolare della mia vita, titolare della mia identità, dei miei valori, delle mie capacità e persino dei miei difetti, lo sono io, solo io”. E dunque quando tale individuo parte con la valigia, in essa trova la sua identità e le carte geografiche per poter vivere anche fuori dalla casa.
Cosa importante è che egli sappia che in circostanze come questa nella stanza d’analisi si possa riuscire a trasformare il sentimento infelice per la storia raccontata e le conseguenti considerazioni, in SANO DOLORE per come avrebbe tanto voluto che le cose fossero e non sono state, ma non in angoscia, non in colpa e non in vergogna. Non è il dolore sano che vieta di affrontare le fatiche, le pene, i mancati piaceri di cui è messaggera la vita intera.
Penso poi… quanto avrebbero dato, quanto ancora darebbero quel figlio/a per averci avuto un papà o una mamma che facesse festa tutte le volte che il figlio rientrava a casa, e poi vai ?!
C’è una poesia del Pascoli intitolata La piccozza, tra le meno note, nella quale egli parla del suo orfanismo, e non solo per aver perduto il padre ucciso dalla mafia di allora. In essa descrive la salita della sua vita come quella di un rocciatore che con la piccozza deve arrampicarsi, quindi non senza fatica e anche pericoli. Il verso che a parer mio esprime al meglio questo concetto è il seguente: “Da me! (ossia da solo, ha dovuto fare da solo) …Non quando m’avviai trepido c’era una madre che nel mio zaino ponesse due pani per il solitario domani.”.
Il Pascoli qui dice che non poteva neppure contare su una madre che gli desse due pani benedetti.
Credo che certi poeti, scrittori abbiano detto spesso cose che psicoanalisti, filosofi, faticano a dire con mille parole.
Già, c’è chi deve imparare a impastarsi quel pane da solo (intendendo dire con questo, senza il contributo dei genitori) in quanto non l’ha ricevuto a tempo debito e in misura sufficiente.
E allora come è tipico dire. “Olio di gomito, forza e coraggio, energia!!” per procurarsi per altra via questi rifornimenti di gratitudine, di grazia. L’altra via è la vita poi. A volte c’è il bravo professore di scuola media, il bravo docente all’università, o l’amico importante e solidale e alla fine, perché no, mettiamoci pure anche quel bravo psicoanalista.
Mese: novembre 2015
Stand by
In effetti una psicoterapia è anche questo: un risveglio dei sensi affettivi.
Quando sento dire da un paziente: “Dottore, io da lungo tempo mi sento come un elettrodomestico guasto, che non può permettersi altro che funzionare in stand by (intendendo, appena appena acceso) …” sapete in cosa e perché ha diritto a essere perdonata questa metafora meccanica? Perché spesso si usa dire “meccanismi di difesa”, “meccanismi dell’angoscia”, “meccanismo del diabete”, “meccanismo della frattura” per spiegare un certo tipo di funzionamento; dunque il negativo sopporta d’essere meccanizzato poiché ad esso si applica la ripetitività scientifica, la prevedibilità delle cose.
Se viceversa, provassimo a dire: “Ma che meccanismo attiva la gioia.. o meccanismo la felicità.. o meccanismo della poesia.. meccanismo della bellezza?” beh, diciamo la verità, l’aggettivo, il sostantivo, striderebbero. Perciò la parola “meccanismo stand by” dell’elettrodomestico ci sta bene come metafora proprio perché, sì insomma, è presente un meccanismo di blocco.
Questo poi, mi suggerisce una vecchia idea, molto semplificata, ma per me almeno persuasiva, e cioè che il determinismo meccanicistico, ossia l’obbligo meccanico sia legittimo quando usato nel versante della sofferenza, della malattia. Diversamente, “meccanismo della felicità” è semplicemente una contraddizione in termini poiché se la felicità fosse meccanica non sarebbe più felicità. Da quest’altra parte, del bene, del bello, del giusto, del poetico, del creativo, ecc. non ci sta la meccanica, quanto invece vien buona una discreta quota di mistero.
Il pensiero laico, mi ha detto persona che se ne intende, ha fatto una coglionata da due/tre secoli a questa parte, lasciando il “mistero” ai preti e alle chiese. E’ bene sapere, mi ha ripetuto spesso, che esiste anche un uso laico del mistero che è un orizzonte irraggiungibile; tu cammini cammini, ma per bella fortuna l’orizzonte rimbalza sempre in avanti, almeno finché siamo vivi. Questo ci garantisce contro i rischi dell’abuso deterministico laddove anche gli psicoanalisti qua e là sono inciampati.