Spesso si sente dire che Freud è “superato”. Ma chi lo afferma, il più delle volte, ha letto poco o nulla di ciò che ha scritto. È curioso, poi, che a “superarsi” abbia cominciato proprio lui. Volume dopo volume, lungo tutta la sua opera, Freud ha fatto esattamente questo: ha messo in discussione se stesso. Ha corretto, ampliato, rivisto. Fino a un certo punto, poi ha detto: “Andate avanti voi.”
Ecco perché superare Freud è possibile, ma solo dopo averlo studiato. Criticarlo senza averlo capito è un’abitudine comoda, ma sterile.
Non c’è scienza che non si trasformi. Galileo ha superato la cosmologia tolemaica, eppure oggi continuiamo a chiamare “firmamento” un cielo che, proprio grazie a lui, sappiamo non essere affatto fermo. È stato lui, nel 1610, con l’uso del telescopio, a dimostrare che Giove aveva satelliti in orbita: una scoperta che non solo apriva la strada alla teoria copernicana, ma sgretolava l’immobilismo della vecchia visione aristotelica.
Anche oggi, se facessimo un referendum mondiale chiedendo se il Sole gira intorno alla Terra o viceversa, non sarebbe scontato il risultato. Per molti, ancora, il senso comune pesa più del sapere.
Lo stesso succede con Freud. C’è chi liquida il complesso di Edipo con battute frettolose, tipo: “E allora con le coppie omosessuali come la mettiamo?”
Ecco, appunto: “come la mettiamo?” è una buona domanda, ma va presa sul serio.
L’identità anatomica non esclude la differenza. In una coppia omosessuale, come in qualunque relazione affettiva, ciò che conta non è solo il corpo, ma la funzione che ciascuno sa assumere. Il legame non si costruisce sull’identico, ma sul complementare. L’amore si regge su uno scambio: “Ti do ciò che a te manca, tu mi dai ciò che manca a me.”
Anche nel crescere un figlio, ciò che serve non è l’eterosessualità dei genitori, ma la loro capacità di incarnare funzioni diverse. La tenerezza, la protezione, la cura: non sono proprietà di genere, ma modalità relazionali. La funzione materna e quella paterna possono appartenere a chiunque ne abbia la forza, il desiderio, la competenza emotiva.
E in questo, Freud ha aperto strade che ancora camminiamo.
Chi liquida la sua teoria come “superata” dovrebbe confrontarsi, ad esempio, con una delle realtà più tragiche del nostro tempo: il femminicidio.
Nel nostro Paese – non altrove, ma qui – ogni pochi giorni un uomo uccide la sua compagna. Spesso perché lei ha detto: “Basta, ti lascio.”
Sono “tragedie amorose”, si legge sui giornali. Ma non è amore, quello che uccide. È dipendenza. È possesso. È un’incapacità infantile di tollerare la separazione.
È qui che il complesso edipico, lungi dall’essere antiquato, aiuta ancora a pensare. Il bambino che non tollera che la madre lo abbandoni, se potesse, farebbe qualsiasi cosa pur di trattenerla. Il femminicida, in questo senso, è un neonato disperato con in mano una pistola. Non sa vivere senza la madre. E allora, piuttosto che accettarne la libertà, la elimina.
Freud ci ha mostrato che l’amore – il desiderio, il legame, l’identità – non sono meccanismi biologici, ma dinamiche psichiche. E proprio da questa visione complessa, profonda, è nata anche la possibilità di riconoscere come umane – e degne – tutte le forme di amore, incluse quelle omosessuali.
Il primo amore di un maschietto è eterosessuale: la madre. Quello di una femminuccia è omosessuale: la madre. E già questo dovrebbe bastare a togliere all’omosessualità la sua antica aura di “devianza”.
Senza Freud, certe aperture culturali e sociali – ancora oggi incompiute – non sarebbero nemmeno pensabili. È lui che ci ha insegnato che l’identità non è un binario rigido, ma una costruzione in movimento, fatta di mescolanze, contaminazioni, sfumature.
Non c’è maschile e femminile rigidamente opposti. In ciascuno di noi, maschi o femmine, c’è una quota dell’altro. Ed è proprio questo che rende possibile la relazione.
Freud era figlio del suo tempo, certo. Ma ha saputo andare oltre. Ha dato alle donne la parola. E ha costretto gli uomini a interrogare la propria violenza.
Per questo non basta “superarlo”. Prima bisognerebbe leggerlo, studiarlo, praticarlo. E poi, magari, provare ad andare avanti.