Un vecchio proverbio sostiene che: “Partire è un poco morire”. In qualche stagione della vita, per qualcuno “partire” non è stato “un poco”, bensì “totalmente” morire. Peraltro salus dal latino oltreché salute, saluto vuol dire puramente e semplicemente la salvezza fisica, la sopravvivenza.
Di questa cosa c’è traccia anche nei modi linguistici, come quando si sente dire: “Oh, mi raccomando, telefona, scrivi, ma fatti vivo!” Che valore ha quel “fatti vivo? Eh, se no io penso che tu sia morto.
Certo che le parole sono implacabili, quel che dicono, dicono…sopra il preconscio di tutti e di ciascuno.
Ora perché? Perché ce l’abbiamo spesso con la MEMORIA? E’ vero, diventa un circolo vizioso: “Non sei tu che mi lasci, quindi che muori, sono io che ti cancello!”
E’ utile sapere che in tutto questo c’entra l’inconscio, il quale a torto, promettendoci di soffrire meno, si comporta come se salutare l’amico o la fidanzata fosse una cosa imbarazzante oltreché penosa. Ma perché? Perché l’inconscio suggerisce: “Bada bene che non lo/a vedrai mai più. Quindi tu sai che salutandolo lo stai condannando a morte, non lo rivedrai mai più!”. E lo credo allora che risulta una cosa imbarazzante. Poi, naturalmente, pronunciate così queste cose hanno il sapore di un delirio, ma l’inconscio è delirante. E’ la coscienza che pensa a trasformare tutto questo in una elaborazione. Ma era per mettere lo psicoscopio ingranditore su questo passaggio che potremmo sintetizzare con queste parole: il disagio del salutare.
Ora attenzione, se noi abbiamo il piacere nell’essere con qualcuno, è naturale che proviamo un certo dispiacere nel vedere che si allontana, ma questo “certo dispiacere” è sano e sta a garanzia del piacere di vederlo tornare. Altrimenti non ce ne fregherebbe niente, ne di vederlo partire, ne di vederlo tornare. Soltanto che l’angoscia, la quale si sa è una grande imbrogliona a questo punto dice: “Ma se tu cancelli non soffrirai”. E questo, per la verità è un pensiero abbastanza diffuso.
Il dolore che si prova per la perdita è sano poiché è il certificato di valore della persona che magari abbiamo perduto per sempre. Intendo dire che SI MUORE DI MENO, si perde meno conservando il ricordo che è il solo risarcimento.
La memoria è sempre dolorosa perché la giornata di ieri non possiamo più toccarla, percepirla, possiamo solo ricordarla; e questo comporta il dolore del tempo che passa irreversibile. Ma la memoria ci regala i ricordi che ne sono, come dicevo sopra, il solo risarcimento. Questo attiene alla sanità della nostra mente. Viceversa, li accanto sonnecchia sempre l’onnipotenza dell’inconscio che dice: “Ma se non è mai esistito non ho mica perso niente”. Qualcosa di molto simile a quando accade di vedere applaudire ad una bara durante lo svolgimento di un funerale: entrano in scena meccanismi di “difesa” come la negazione, il diniego, il facciamo finta che sia un’altra cosa.
I bambini sono autorizzati a chiudere gli occhi per dire: “Tu non ci sei”. A proposito di questo, mi è capitato di seguire un dialogo tra due bambini intorno ai 5 anni dove uno diceva all’altro: “ Ti ho visto sai?! Guarda che ti ho visto che hai fatto questo!” E l’altro risponde: “Ma io non ti ho mica visto.” Va da se che se io non ti ho visto, tu non c’eri e quindi la tua testimonianza non vale. Trovo sia una delizia nel pensiero infantile, ma quando pretendiamo che questo abbia il peso specifico della logica adulta…